19510

L’accertamento della responsabilità esclusiva di uno dei conducenti libera l’altro dalla presunzione di cui all’art. 2054, comma 2, cc. 

Il principio di cui sopra è stato riaffermato dalla Suprema Corte con la sentenza n. 19 luglio 2019, n. 19510 link sentenza Cass. Civ.  n. 19 luglio 2019, n. 19510.

 

Il fatto

Gli eredi di un ciclista deceduto in occasione di un sinistro stradale con un’autovettura convenivano dinanzi al Tribunale di Napoli il conducente, il proprietario e l’Assicuratore di quest’ultimo veicolo per sentirli condannare al risarcimento dei danni sofferti, in proprio e quali eredi del de cuius, per la morte del congiunto.

Con sentenza n. 1102/12 il Tribunale di Napoli rigettava la domanda ritenendo che la causa dell’accaduto fosse da ricondurre in via esclusiva alla condotta di guida del ciclista.

La pronuncia veniva confermata in sede di gravame dalla Corte di Appello di Napoli con sentenza n. 4203/2017.

Le decisioni si basavano sulla circostanza che in sede di istruttoria era stato accertato, sulla base delle dichiarazioni spontanee rese da un testimone nonché delle tracce di frenata riscontrate dalla Polizia Municipale e dei danni riportati dall’autovettura, che la causa dell’accaduto fosse da ricondurre in via esclusiva alla condotta di guida del ciclista, il quale aveva compiuto un imprudente ed improvviso cambio di corsia, non segnalato, da destra a sinistra a seguito del quale impattava contro l’autovettura che stava sopraggiungendo in fase di sorpasso.

Dal racconto del testimone e dalle tracce di frenata era emerso che il ciclista avesse effettuato tale manovra in rapidissima successione temporale, quasi contestualmente all’arrivo dell’autovettura.

La Corte riteneva che lo stato della strada, l’ora di percorrenza e le condizioni meteo del tempo non fossero tali da imporre al conducente dell’autoveicolo, che tra l’altro viaggiava ad una velocità superiore al limite ivi esistente, di viaggiare ad un’andatura inferiore di quella massima consentita e che, d’altra parte, la condotta di guida del predetto automobilista non poteva essere considerata prevedibile, così da consigliare al conducente dell’autoveicolo di ridurre per tempo la velocità di guida, essendo avvenuta repentinamente e senza essere preceduta da altre scorrettezze di guida.

In merito alla velocità dell’autoveicolo, la Corte reputava condivisibile la sentenza appellata anche nella parte in cui aveva ritenuto che la velocità di 65 km/h, per quanto eccedente il limite massimo consentito, non avesse inciso sulle conseguenze dannose dell’incidente, che si sarebbe comunque verificato con identico esito mortale anche se il mezzo avesse viaggiato a 50 km/h.

Pertanto, la condotta colposa del conducente dell’auto non aveva avuto alcuna rilevanza causale nel sinistro, che si era verificato unicamente a causa della manovra gravemente imprudente posta in essere dalla vittima, la cui colpa risultava assorbente.

Avverso tale sentenza gli eredi del de cuius proponevano ricorso in Cassazione con un unico motivo lamentando, ai sensi dell’art. 360 cpc, comma 1, nn. 3, 4 e 5, la “violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115,116,191 e 195 c.p.c., nonché degli artt. 2054, 2967 e 2700 c.c. e degli artt. 141 e 142 CdS”.

La decisione

Il ricorso è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di legittimità per due ordini di ragione:

– le censure alla sentenza sono state esposte in modo cumulativo e quindi senza ricondurle, una per una, allo specifico mezzo d’impugnazione enunciato dall’art. 360 c.p.c., comma 1, con la conseguenza di aver rimesso tale compito al giudice di legittimità (Cass. Civ., 23 ottobre 2018, n. 26790; Cass. Civ., 23 settembre 2011 n. 19443 e Cass. Civ. SS.UU., 6 maggio 2015, n. 9100);

– sono state sottoposte alla Corte delle istanze, prevalentemente probatorie, di revisione della valutazione del fatto, che invece non sono sindacabili in sede di legittimità.

Nonostante ciò la Corte ha esaminato il motivo del ricorso ed affermato che la motivazione della sentenza di secondo grado è priva di vizi logico-giuridici ed è conforme al principio, affermato più volte dal Giudice di legittimità, secondo cui la prova liberatoria dalla presunzione di pari responsabilità contenuta nell’art. 2054, comma 2, cc  può essere data anche in modo indiretto.

Nel caso di specie, avendo il Giudice accertato che il comportamento della vittima è stato il fattore causale esclusivo dell’evento dannoso, comunque non evitabile da parte del conducente dell’autovettura che non ha potuto eseguire alcuna idonea manovra di emergenza, non è necessaria la prova diretta da parte di quest’ultimo di avere tenuto un comportamento esente da colpa e perfettamente conforme alle regole del codice della strada per escludere la presunzione prevista dal secondo comma dell’art. 2054 cc.

L’accertata concreta impossibilità di evitare il sinistro, a causa della repentinità della manovra eseguita quasi contestualmente all’arrivo dell’autovettura, ha indotto i giudici ad escludere qualsiasi rilievo alla circostanza che l’autoveicolo marciasse a velocità superiore a quella consentita.

La sentenza della Suprema Corte in esame ha confermato un indirizzo espresso più volte dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. Civ., 19 luglio 2019, n. 19510; Cass. Civ., 11 aprile 2017, n.9278; Cass. Civ., 11 giugno 2010, n.14064; Cass. Civ., 22 aprile 2009, n. 9550; Cass. Civ., 23 agosto 1990, n. 8622; Cass. Civ., 18 febbraio 1998 n. 1724; Cass. Civ., 11 aprile 1988, n. 2834) secondo il quale, nei casi in cui risulti dimostrato che è stata la condotta di uno dei conducenti ad aver causato in modo esclusivo il sinistro, la responsabilità dello stesso è da attribuire unicamente a quest’ultimo e l’altro sia esentato dall’onere di dover dimostrare di essersi pienamente uniformato alle norme sulla circolazione ed a quelle di comune prudenza, esonerandolo così dall’onere di  provare di aver fatto tutto il possibile per evitare l’incidente.

In tal modo si cerca di superare la sostanziale ingiustizia cui pervengono le sentenze che seguono quella impostazione giurisprudenziale, molto diffusa tra i giudici di merito e seguita anche da parte di quelli di legittimità (Cass. Civ., 16 settembre 2013, n.21130, Cass. Civ., 3 novembre 2004, n. 21056; Cass. Civ., 27 ottobre 2004, n. 20814; Cass. Civ., 14 aprile 1997, n. 3185), secondo la quale non viene superata la presunzione di cui all’art. 2054, comma 2, cc neppure nei casi di comprovata esclusiva responsabilità di uno dei conducenti.

Difatti, nella realtà quotidiana non sempre la parte alla quale non è attribuibile la responsabilità del sinistro ha la possibilità di provare di aver fatto tutto il possibile per evitarlo ed una impostazione che attribuisce le responsabilità delle parti coinvolte secondo automatismi, applicando acriticamente la presunzione del secondo comma dell’art. 2054 cc e senza valorizzare le effettive cause del danno, perviene a risultati abnormi.

Con ciò non si intende mettere in discussione la fondatezza della menzionata presunzione, che trova i suoi presupposti non solo nel citato art. 2054, comma 2, cc ma anche nell’art. 1175 cc (Cass. Civ., 5 maggio 2000, n. 5671) ed inoltre nel più generale principio di solidarietà sociale stabilito dall’art. 2 Cost., giacchè tale regola è giustamente tesa a  responsabilizzare i conducenti dei veicoli nella circolazione stradale, quanto invece la sua applicazione in modo “automatico” e senza valorizzare le effettive cause del danno.

Per comprendere meglio la casistica oggetto delle pronunce di cui sopra, si rinvia all’articolo sottostante:

La responsabilità ex art. 2054 cc del ciclista

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